Abbiamo tutti ormai vissuto la stessa esperienza: andare al supermercato e fare la spesa sono diventati compiti gravosi, sia fisicamente che mentalmente, tanto da lasciarci esausti. Cerchiamo qualità e sostenibilità, vogliamo fare bene al nostro corpo e al pianeta, desiderando anche mangiare bene. Tuttavia, la complessità delle scelte è aumentata mentre le risorse, specialmente economiche, sono diminuite.
Stando ai recenti dati diffusi dall'Ufficio Studi Coop, la differenza tra l'inflazione percepita e quella misurata, potrebbe aggirarsi nel 2024 intorno ai 9 punti percentuali (+1,3% quella prevista nelle misurazioni statistiche e +10,3% quella percepita), come se gli italiani avessero perso in un anno circa 3.600 euro.
"Tutte le contraddizioni del sistema si sono riversate sul consumatore, lasciato solo ad affrontare problemi che non può risolvere da solo", afferma Fabio Ciconte, direttore dell'associazione Terra! e autore del libro "L'ipocrisia dell'abbondanza" (Laterza).
"Le persone hanno sempre meno possibilità di fare la differenza, sia per sé stesse che per il mondo: comprare meno carne, soprattutto carne rossa, consumare meno ma meglio, scegliere il biologico e frutta e verdura di stagione, sono sempre ottimi consigli, ma la verità è che agire in modo consapevole è difficile in un Paese con redditi in calo e stipendi fermi da decenni, dove esiste un enorme divario tra l'Italia di Masterchef e quella che fatica a mettere insieme pranzo e cena".
Agnese Codignola, esperta di sistemi alimentari e autrice di "Il destino del cibo" (Feltrinelli), ha riflettuto su come affrontare la produzione alimentare in un mondo con dieci miliardi di abitanti e in piena crisi climatica. Secondo Codignola, i consumatori hanno ancora il potere di influenzare i produttori verso scelte migliori. "Il mood culturale conta, le aziende lo seguono e non lo guidano", afferma, citando l'esempio dell'olio di palma e dei cambiamenti dei materiali negli imballaggi dei prodotti.
Tuttavia, fare scelte consapevoli al supermercato è diventato estremamente difficile a causa della miriade di certificazioni e denominazioni che confondono i consumatori. Questa confusione è aggravata da una crisi di fiducia dovuta a vari scandali, non ultimo dei quali, quello che ha coinvolto la FAO e le lobby degli allevamenti intensivi, che sono riuscite a censurare i dati sulle emissioni di metano del bestiame, un gas che altera l'atmosfera molto più della Co2.
È una storia come tante altre, tutte le organizzazioni e le etichette hanno dimostrato di avere più falle che credibilità e alla fine di questo caos ci siamo noi di fronte allo scaffale, con sempre meno soldi per prendere decisioni sempre più difficili. Smarriti.
In Italia l'elemento culturale identitario (il concetto di made in italy) conta ancora tanto, ma in parte è illusione, avevamo una delle alimentazioni migliori al mondo, oggi mangiamo tantissimi ultra trasformati e ci illudiamo di curare tutto aggiungendo il pomodorino fresco e un po' di avocado (che nella maggior parte dei casi non è stato coltivato in Italia).
Non ci sono solo cattive notizie: in fondo siamo anche uno dei leader globali del biologico, con 2,2 milioni di ettari è il 17% della superficie agricola totale, molto di più della media europea del 9%. Le vendite bio in Italia valgono 5 miliardi di euro all'anno, il 3,5% di tutto quello che viene consumato al mondo. L'inflazione ovviamente ha colpito anche la qualità: i prezzi per la spesa sono aumentati del 10,3% ma il volume di quello che ti porti a casa è sceso del 3,3%. Dobbiamo spendere di più per avere meno, ed è per questo che i consumi crescono soprattutto quando si mangia fuori o nella ristorazione collettiva (le mense) ma sono in calo tra le mura domestiche. Mangiamo meno e peggio.
Ma qual è il punto chiave? Non ha senso parlare di cibo sostenibile senza guardare il disegno più grande: la crisi climatica. La scienza è chiara: il modo principale per fare la differenza a tavola si chiama transizione proteica, cioè prendere le proteine da prodotti vegetali e non sempre (o solo) dalla carne. È un dilemma complesso, che incrocia tutti i livelli del discorso: sostenibilità, salute, inflazione.
È poi una questione di parole: come ridefinire i piatti per evitare che siano scoraggianti? Mangiare vegano (crea spesso contrapposizione, noi contro loro), vegetariano (viene percepito come sinonimo di insipido) o “senza carne” (sembra che manchi sempre qualcosa), meglio un lessico che evidenzi sapori o provenienza geografica delle ricette? È una forma di educazione che le persone possono portare a casa, legumi e proteine vegetali sono un modo per stare meglio, evitare di distruggere ulteriormente l'atmosfera, hanno risentito dell'inflazione meno di carne e latticini e aumentano pure di peso durante la cottura.
E anche di educazione alimentare: c'è sempre meno tempo da dedicare al cibo. Per un italiano su due, secondo i dati Nielsen, meno di trenta minuti al giorno.
Siamo sopraffatti e distratti e possiamo prestare sempre meno attenzione a ciò che mangiamo, nonostante il lockdown pandemico abbia portato ad un ripensamento del lavoro in questi anni, anche da remoto e smart, proprio quando ne servirebbe di più.
Da dove ripartire, allora? In che modo il nostro vivere fa la differenza, quali sfide sono in corso o lo saranno nei prossimi anni?
Dimmi la tua, e proviamo insieme a fare la differenza.
Iniziamo buona lettura!
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L'errore 404, che indica che una pagina web non è stata trovata, è uno dei messaggi più comuni e frustranti per gli utenti. Il numero 404 non è stato scelto a caso; secondo una leggenda urbana del mondo tech, deriva dal fatto che la stanza 404 al CERN era dove risiedeva il primo database del World Wide Web, e da lì nacque la codifica di errore quando una pagina non poteva essere trovata. I pionieri della rete smentiscono questa teoria. Eppure l'errore di stato dell'HTTP, è ancora molto importante e viene personalizzata dai marchi nei modi più creativi. Leggi qui
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Cosa mi porto a casa questa settimana. L’insegnamento, o comunque esperienza
Il cronotopo, per la fisica, è uno spazio a quattro dimensioni: le tre propriamente spaziali e una, dice Minkowski, immaginaria. Il tempo. Viene utilizzato per mettere in luce lo stretto legame fra lo spazio e il tempo, stabilito dalla teoria della relatività. Per la semiotica, in particolare per Bachtin, è un "tempospazio", anzi, il tempospazio di un romanzo, il rapporto tra le coordinate temporali e spaziali che danno forma a un testo letterario, soprattutto quando si intreccia alla trama come nei racconti di pellegrinaggi, vagabondaggi e guerre. E, per estensione, il tempospazio di tutto ciò che ha senso solo in quel luogo e in quel momento lì. Come il tempo attuale che viviamo costantemente in asincrono, quello digitalizzato, che spesso affrontiamo gravati da anacronismi continui. Un tempo indefinito e indefinibile, che né Einstein né Minkowski né Bachtin avrebbero potuto immaginare, ma, (può essere), avrebbero apprezzato. Un tempo come lo vuoi tu, un tempo in cui la fanno da padrone le tue energie e non le lancette dell'orologio o le scansioni dell'agenda. Passare dal gestire il tempo, alla gestione delle proprie energie, senza sentirsi in colpa e perennemente dipendenti da una variabile temporale.
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Alessandro