La guerra tra Israele e Hamas è una delle controversie più complesse e durature del mondo contemporaneo. Ma ora, la narrazione di questo conflitto sta raggiungendo milioni di giovani in tutto il mondo grazie a un inaspettato mezzo di comunicazione: TikTok. L'app di video-sharing sta trasformando la percezione e la comprensione del conflitto israelo-palestinese, consentendo a giovani creator di esprimere le proprie opinioni e diffondere informazioni a un vasto pubblico globale. Il conflitto in Medio Oriente è entrato prepotentemente sul social attraverso un video di un normale giorno di festeggiamenti.
Lo abbiamo visto tutti. Le prime luci dell’alba, la musica elettronica nel deserto, centinaia di ragazzi e ragazze che ballano, felici, ignari. E ancora i colori, i look, le movenze rallentate dalla stanchezza del mattino, qualcuno esausto che dorme in un angolo. Lo spaccato di un qualsiasi posto del mondo, durante un rave o un festival come tanti ne troviamo, il Coachella, il Burning Man o altri.
Invece è il Nova Music Festival, nei pressi del Kibbutz di Reim, a ridosso del confine con la Striscia di Gaza, dove si celebra la Natura per la festa ebraica del Sukkot.
L’inquadratura di un telefonino si sposta verso il cielo e improvvisamente riprende i parapendii guidati dai miliziani di Hamas armati fino ai denti.
I telefonini continuano a riprendere la fuga, la disperazione, i corpi, le auto abbandonate sulla carreggiata. Immagini che sembrano così vicine ma allo stesso tempo lontane dalla vita della nuova generazione Z, sono le prime a mettere in luce TikTok nel conflitto tra Israele e Palestina. Non solo i video dei ragazzi, ma anche i contenuti di Hamas ripresi dalla body-cam dei terroristi.
Gli attivisti e i citizen Journalist su TikTok offrono un'alternativa alle narrazioni tradizionali fornite dai media.
Dall'altra parte della striscia di Gaza accende il suo smartphone Leila Warah: “La guerra sta scoppiando in Palestina proprio adesso”, dice in un video visualizzato oltre 1 milione di volte su TikTok.
Laureata in giornalismo, racconta il punto di vista di una giovane abitante della Cisgiordania sul suo account e su Mondoweiss, un canale di notizie dedicato. La narrazione è concitata e accompagnata da immagini di guerra.
I suoi video su TikTok in cui racconta la storia della Striscia di Gaza o come nel suo villaggio non ci sia abbastanza acqua per lavarsi i capelli, hanno ricevuto milioni di visualizzazioni.
La sua narrazione è diretta, senza filtri, ma non per questo meno autorevole di quella dei suoi colleghi dei media tradizionali."Penso che i giovani vogliano cose facili da capire, costruite per i social media, da lì ottengono le notizie al giorno d'oggi”, ha dichiarato al Washington Post in una recente intervista.
La disintermediazione dei social sembra riuscire ad appassionare le giovani generazioni molto di più rispetto ai media tradizionali. Molti giovani si informano quindi su Instagram, TikTok, X: le piattaforme, infatti, offrono contenuti a metà tra citizen journalism e spiegazioni di temi complessi in parole semplici.
Anche il Governo israeliano sembra se ne sia accorto e, da qualche tempo, ha iniziato a reclutare content creator desiderosi di raccontare il punto di vista di Tel Aviv sul conflitto. Un’operazione diretta non solo all’audience israeliana, ma anche a quella internazionale con ricadute reputazionali.
Secondo Warah piattaforme come TikTok garantiscono alle voci della Gen Z palestinese di essere finalmente rappresentate in un dibattito, quello del mondo occidentale, che spesso le ha relegate in un cono d'ombra. E in questo modo vedono le loro istanze rappresentate.
Ma disintermediazione non fa sempre rima con informazione. La narrazione del conflitto su TikTok non è priva di controversie. L'informazione è estremamente frammentata: comprende voci di influencer e esperti eccellenti, voci importanti da cui il pubblico può davvero imparare qualcosa, ma sono immerse in un mare di contenuti senza filtri deontologici ed etici, decontestualizzati e che possono generare disinformazione. Molti sostengono che la piattaforma non faccia abbastanza per regolare i contenuti legati a questioni sensibili come la guerra, il che può portare alla diffusione di fake news.
Immagini dell'orrore inenarrabile che la tv ha raccontato con maggior garbo e filtro, sono arrivate direttamente con tutta la loro violenza agli occhi del pubblico.
Di tutti i video, l'algoritmo di TikTok sceglie e mostra quelli che coinvolgono di più. La violenza o la disinformazione sono sempre maggiormente coinvolgenti. La infodemia sulla guerra da parte del pubblico, affamato spalanca le porte anche ai “fake” con centinaia di video di esplosioni che non riguardano il conflitto in corso. Alcuni utenti hanno, ad esempio, condiviso un video in cui si vedeva una folla di persone dare fuoco a una ragazzina. Il filmato veniva collegato agli attacchi di Hamas contro Israele, ma in realtà risaliva alle proteste in Guatemala nel 2015.
Il commissario europeo del Mercato interno Thierry Breton ha scritto 3 lettere distinte a Meta, X e TikTok per chiedere alle piattaforme di cercare di arginare questo tipo di fenomeni. Ma in molti dubitano sulla reale capacità di riuscire a moderare tutti i contenuti presenti.
Ma c'è di più. Ricordiamocelo.
Un algoritmo che non è neutrale, potrebbe determinare quello che vediamo e influenzare quindi le nostre opinioni.
Il fronte è anche sui Social e le trincee saranno complesse da "scavare."
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Alessandro